Lo spread che misura il differenziale di rischio tra Italia e Germania si è attestato a quota 185 punti, più del doppio di quanto non fosse al momento dell’insediamento di Mario Draghi al governo e quasi un quarto in più rispetto a inizio anno. Ed era dai tempi del lockdown pandemico del 2020 che non toccava un livello così alto. Di conseguenza, il rendimento dei Btp decennali è salito al 2,75%, tornando ai livelli di maggio 2019. Un campanello d’allarme tale da svegliare anche la più intorpidita delle attenzioni.
Allo stesso modo dovrebbe preoccupare la notizia che nel primo trimestre la nostra economia è arretrata dello 0,2%. Non è ancora recessione, ma comunque non c’è da stare allegri. si definisce lieve la perdita di ricchezza tra gennaio e marzo, si considera eclatante che l’Istat abbia corretto da +0,6% a +0,7% la stima della crescita del pil nel quarto trimestre 2021, si sottolinea il recupero di alcuni settori tra i più penalizzati dalla pandemia, come il turismo, senza considerare che si tratta di un ritorno, peraltro lento, ad una normalità pre Covid che evidenziava, come in quasi tutti gli ambiti del terziario e dei servizi, gravi carenze strutturali. Ma, soprattutto, si ignora che la tanto strombazzata ripresa, dello scorso anno sia durata in realtà solo i sei mesi centrali del 2021, perchè successivamente ci siamo arrabattati intorno al nostro solito standard della crescita a ritmo dello “zero virgola”.
Se si aggiunge il passo indietro del primo trimestre di quest’anno, per effetto del quale restiamo ancora indietro rispetto al periodo pre-Covid ecco che il trend che si delinea dovrebbe indurci a capire che siamo nel mezzo dell’ennesima emergenza, visto che il rallentamento sta già diventando stagnazione e a passare in recessione è un attimo.
Dal fronte della guerra in Ucraina ci arrivano messaggi, che il conflitto durerà a lungo e che le sue conseguenze economiche, specie sul fronte energetico e delle materie prime, comprese quelle alimentari, vanno ben oltre la linea temporale della congiuntura. Si pensi solo, tanto per dirne una, che a marzo 2022 i prezzi alla produzione industriale sono aumentati su base annua del 36,9%.
Questo rende fragili le previsioni, redatte solo tre settimane fa, inserite nel Documento di programmazione (Def) su cui il governo ha costruito la sua politica di bilancio.
La frenata dell’economia, condita da un vertiginoso aumento dei costi dell’energia e dei prezzi di molte materie prime, spingerà i partiti a chiedere sostegni e incentivi per le imprese, e bonus riparatori per i consumatori, siano essi lavoratori o disoccupati. In una spirale al rialzo a chi la spara più grossa. Ma, oltre a non funzionare rispetto agli obiettivi dichiarati, come dimostrano gli anni di mancata crescita che abbiamo alle spalle, questo approccio demagogico alla politica economica avrebbe conseguenze temibili sugli equilibri già precari della finanza pubblica. Non è un caso che la Banca d’Italia abbia subito messo le mani avanti, sostenendo che nuove misure di sostegno devono essere selettive e incentrate solo sulle famiglie più vulnerabili e le aziende più esposte, ma senza aumentare l’indebitamento, altrimenti si rischia di lasciare il paese esposto alle tensioni sui mercati finanziari. Colpisce che di fronte ad un quadro del genere, prevalga il minimalismo. E’ possibile che nel momento in cui la Russia interrompe le forniture di gas a Polonia e Bulgaria, perchè si sono rifiutate di pagare in rubli, e Mosca minaccia di bloccare le erogazioni anche verso altri paesi, tra cui l’Italia, che non accetteranno di usare la valuta russa, noi ci limitiamo a partorire l’idea di imporre che negli uffici pubblici d’estate i condizionatori non potranno mai portare la temperatura sotto i 25 gradi e d’inverno i termosifoni non potranno salire sopra i 19 gradi? Certo è il fatto che la Russia, con quasi 30 miliardi di metri cubi all’anno rimane il primo fornitore del nostro Paese, assicurandoci ben il 37% del gas che consumiamo. Bene quindi andare in giro per il mondo a cercare forniture alternative, ma considerati i tempi che ciò comporta e soprattutto che occorrono nuove infrastrutture, per esempio i rigassificatori per il gas liquido, la cui realizzazione finora è stata bloccata dai veti del partito del No, la prima cosa da fare è riscrivere il Piano energetico nazionale, riconsiderare tempi e modi della transizione ecologica, rivedere il Pnrr mettendo gli investimenti relativi all’energia in cima alle priorità. E magari predisponendo una task force per affrontare l’emergenza, esattamente come lo stesso Draghi ha fatto, con successo, per affrontare la vaccinazione di massa contro il Covid. Sapendo che ci sono impianti di energie rinnovabili fermi da anni da realizzare immediatamente, che si deve tornare a estrarre gas dal nostro sottosuolo, che occorre ragionare laicamente sull’opzione del nucleare di quarta generazione. Questo è compito doveroso del governo dei migliori.
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