Se non ci fosse la guerra scatenata da Putin in Ucraina, e soprattutto se non ci fossero le pesanti conseguenze che sta producendo con cui avere a che fare, il governo Draghi e con esso la legislatura sarebbe già finita. La rottura stava per accadere in febbraio, e la visita che il 18 di quel mese Mario Draghi ha fatto a Sergio Mattarella per esternargli tutta la sua irritazione di fronte agli agguati dei partiti e il successivo vertice con i capidelegazione, ne erano stati i prodromi. Tuttavia, il 24 febbraio le truppe russe marciavano su Kiev, aprendo uno scenario inedito e drammatico, che non poteva non condizionare le vicende politiche nazionali in tutta Europa, e in Italia congelare la potenziale crisi di governo. E se anche questo stallo non ha impedito ai partiti, in particolare ai 5stelle ma anche la Lega, di logorare l’esecutivo con atteggiamenti ambigui proprio sulla guerra, è evidente che nessuno può, in questa situazione, prendersi la responsabilità di far cadere il governo nel pieno della più grave crisi internazionale dalla fine della seconda guerra mondiale.
Ma
fino a quando può durare questo limbo? A giudicare dalla scelta di Lega e Forza
Italia di far saltare la riforma del fisco, e dall’aggrovigliarsi di veti
incrociati sul provvedimento Cartabia che riforma il Csm, le tensioni
all’interno della maggioranza, sono destinate a crescere ogni giorno di più. E,
peraltro, non mancheranno le occasioni, visto che il Paese rischia di tornare
in recessione, La verità è che se si somma il fronte dei putiniani dichiarati e
di quelli travestiti da pacifisti, con quello dei vecchi e nuovi riflessi condizionati
anti-atlantisti e anti-occidentali, a palazzo Chigi l’unica arma da poter usare
è quella della “fiducia” da mettere sui vari provvedimenti per evitare di
essere battuti in aula.
D’altra
parte, Draghi sa che i parlamentari non faranno karakiri facendogli mancare
l’appoggio fino a quando non saranno maturate le coperture previdenziali di
questa legislatura. Ma anche lui, che ora è bloccato dall’emergenza del
conflitto, non ha nessuna intenzione di tirare a campare. E se solo si aprirà
uno spiraglio, non si farà scappare l’occasione di togliersi dalla linea di
tiro dei partiti. Solo che spaventa cosa possa produrre il commistione tra
l’irresponsabilità della classe politica, che affronta un passaggio epocale
come questo con la logica becera della speculazione elettorale, e la stanchezza
mista a irritazione di Draghi, cui sembra mancare l’intenzione di usare la leva
della sua insostituibilità per forzare la mano e imporre le sue scelte. Non lo
ha fatto durante la lunga fase della campagna quirinalizia, e non lo sta
facendo ora, come dimostra il mezzo passo indietro di fronte a Conte sui tempi
di aumento delle spese militari, protratti fino al 2028. Perchè l’Italia non
può permettersi di non assumersi la responsabilità di avere un ruolo attivo sia
nell’affrontare la catastrofe umanitaria che la guerra sta producendo, sia
nell’affrontare tutti i rischi di natura geopolitica che si stanno palesando di
fronte alla strategia imperialista di Putin.
Purtroppo,
è inutile non dirlo, la situazione, pur essendo di una gravità senza
precedenti, non è in grado di svegliare coscienze sopite e di animare
intelligenze e lungimiranze che non ci sono. Quelli che la politica italiana
sta mostrando sono i limiti che ha, non potrebbe essere diversamente. La
nascita del governo Draghi e della maggioranza larga che lo ha votato, avevano
fatto sperare che i drammatici vuoti dei partiti e della classe politica, dal
punto di vista politico, culturale, programmatico e morale, potessero essere
riempiti e che le istituzioni potessero essere rivitalizzate e risanate. Ma
così non è accaduto, e probabilmente è stato ingenuo sperarlo. E nemmeno di
fronte ad una guerra alle porte di casa, pare si possano prendere posizioni
politiche coraggiose. Basta osservare le ambiguità con cui stanno gestendo le
proprie posizioni rispetto alla guerra e a Putin, la Lega di Salvini, i 5stelle
fuoriusciti e quelli di Conte, Berlusconi, che solo ieri si è dichiarato “dispiaciuto”
di Putin, e poi lo strano silenzio di Renzi e di chi sta a sinistra del Pd,
confortati dalle allucinanti posizioni dell’Anpi.
Bisogna
dire che un contributo importante a determinare nel Paese questo clima
inquinato, lo stanno dando i media e più in generale il mondo culturale e
intellettuale. Da un lato, la spettacolarizzazione della guerra e del dolore,
dall’altro la banalizzazione dei grandi temi geopolitici: sono gli ingredienti
di una indigesta pietanza mediatica che ogni giorno ci viene fornita abusando
del titolo di informazione. Che diventa vomitevole quando si aggiungono le
risse da talk show, alimentate anche a costo di dare spazio e voce a portatori
di tesi improbabili o palesemente false e apertamente negazioniste. Difficile
che una società legga le condizioni in cui si trova e che la politica sia
indotta a fare scelte coraggiose anziché solleticare i bassi istinti popolari,
in un contesto informativo e culturale di tale portata.
Tornando alla questione di governo, se alle ambiguità sulla guerra si aggiungono tutti i distinguo dei partiti di maggioranza, si vede quanto sia mortificato lo spirito dell’unità nazionale. Se poi si considera il rischio che in Francia possa vincere la destra nazionalista e filo-russa, o quantomeno la crescita della Le Pen è indubbia, andando a rafforzare i significati della riconferma di Orban in Ungheria, con tutto quello che significherebbe anche per noi, si capisce come l’infinita transizione politico-istituzionale italiana possa avere esiti devastanti
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