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L'OPPORTUNITA' STORICO-POLITICO-ECONOMICA DI UNA TRAFUGAZIONE DI OSSA

MA NOI SALVAMMO O RAPIMMO SAN NICOLA? COME MILLE ANNI FA UNIVAMO PROFONDO CULTO RELIGIOSO E RAFFINATA VISIONE ECONOMICA. LA PIÙ GRANDE OPERAZIONE MEDIATICA DEL MEDIOEVO IN TERRA DI BARI Quando scendete nella cripta della Basilica di San Nicola, dalla rampa di destra, prima dell’ingresso della chiesa inferiore in cui sono custodite le reliquie del Santo e si celebrano in perfetta armonia il culto cattolico e quello ortodosso, c’è un pianerottolo con una lapide e un altorilievo raffigurante quattro saggi, “i quattro filosofi”. Lì trovano meritato riposo le spoglie dell’Abate Elia, l’uomo che gestì la regia della Traslazione delle reliquie di San Nicola. Pensiamo a cosa doveva essere Bari nel 1087. Fino alla conquista normanna, avvenuta nel 1071 ad opera di Roberto Il Guiscardo, a cui è intitolata la strada che da Largo Chiurlia porta a strada Vallisa – e sono tutti luoghi che saranno protagonisti della nostra storia – Bari era la capitale dei possedimenti bizantini in Italia. Il Catapano era la massima autorità e aveva il suo palazzo proprio dove ora sorge la Basilica. Immaginate quindi questa Bari, al centro dei traffici tra l’Italia e l’Oriente, fulcro dove mercanti e burocrati si dividevano ingenti guadagni. Il giovane Elia era il reggente della chiesa di Santa Maria della Purificazione, quella che poi sarà La Vallisa: fresco di studi teologici a Cava Dei Tirreni e notato dai benedettini per la sua energia e per la sua carica oratoria. Era l’uomo giusto al momento giusto. Sul letto di morte, l’Abate Leucio dei Benedettini lo scelse come suo successore, proprio nel 1071. I Normanni, spostando la capitale a Palermo, fecero perdere a Bari buona parte dei suoi privilegi e qui il progetto dell’ambizioso Elia prese forma. Bisognava dotare Bari di un’attrattiva religiosa di altissimo pregio. San Nicola era uno dei santi più venerati dell’antichità e le sue spoglie erano desiderate dalle maggiori potenze dell’epoca, tra cui Venezia e Genova. In quel periodo gli ottomani avevano conquistato Myra, dove erano conservate le Spoglie. Ad Elia, come narra la leggenda, apparve in sogno il Santo chiedendo di essere salvato. Così, forte della divina ispirazione chiese l’appoggio degli Efrem, facoltosissimi ebrei e dei Doctula, armatori di origine greca, e organizzò la famosa spedizione di sessanta marinai e due religiosi che andarono a recuperare le Sacre Reliquie, non senza l’uso della forza, e tornarono trionfalmente a Bari tra varie peripezie. Questo in barba all’accordo del 1002 siglato con Venezia, secondo il quale, in virtù della nostra liberazione, avremmo dovuto tenere al corrente di ogni operazione il vicario del Doge, che risiedeva in un palazzo visibile ancora oggi nel “quartiere veneziano”. Nel suo complesso progetto Elia si trovò la strada sbarrata dal vescovo Ursone, che pretese che le reliquie riposassero in Cattedrale, assieme a quelle di San Sabino. Tra i soldati della Cattedrale e il popolo che appoggiava l’Abate scoppiarono tafferugli che si conclusero con la morte di alcuni soldati e la resa definitiva del vescovo. Nel progetto di rivoluzione religiosa, dopo greci ed ebrei, non potevano mancare i Normanni. L’Abate Elia chiese e ottenne da Ruggero II (a cui è intitolata la strada accanto al castello Svevo), il permesso di costruire una nuova chiesa, proprio sui resti del palazzo del Catapano: la nuova icona religiosa barese, “sponsorizzata” dalla nuova classe dirigente, sarebbe quindi sorta sulle macerie del simbolo del potere dei conquistati bizantini. La costruzione della Basilica, durata circa 100 anni (ultimata nel 1197), fece di Bari un luogo di peregrinazione per migliaia di persone, dai fedeli ortodossi a coloro che andavano a sacrificare la propria vita nelle Crociate in Terra Santa. Per secoli la presenza di San Nicola, protettore dei bambini, dei marinai, delle ragazze da marito, figura da cui è nato il mito di “Babbo Natale”, Santo del Mediterraneo, al centro di due culture, fu fautrice del prestigio e della nuova importanza di Bari. Chissà se da qualche parte c’è ora un nuovo Elia.

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