Fino agli anni ’70, l’Islam in Africa sub-sahariana non ha quasi mai costituito un tema di interesse scientifico né per gli africanisti né per gli islamisti. I primi, infatti, hanno preferito per lungo tempo occuparsi di quelle ideologie, come il marxismo, il panafricanismo, l’anticolonialismo, che erano state fatte proprie dalle élite africane nella fase di lotta per l’indipendenza e nel processo di decolonizzazione e formazione degli stati nazionali. l’Islam, a questo stadio, sembrava configurarsi come un retaggio arcaico e anacronistico, un tema marginale che poteva essere tranquillamente trascurato. Gli islamisti, dal canto loro, hanno sempre preferito volgere lo sguardo alle aree centrali e nevralgiche dell’Islam (il Medio Oriente), vedendo nell’Islam “nero” un Islam marginale, rozzo,sincretico e quindi corrotto, impuro, “deformato”. A partire dagli anni ’70 il “mondo misconosciuto” dell’Islam africano ha cominciato, però, ad emergere grazie ad una serie di studiosi che hanno indirizzato la propria produzione scientifica verso questo tema. La rivoluzione islamica del 1979 in Iran, che ebbe una fortissima eco in tutti i paesi musulmani, compresi quelli dell’Africa sub-sahariana, mise infatti in evidenza che il linguaggio politico dell’Islam mostrava segni di grande vitalità, di un dinamismo flessibile e imprevedibile. Gli studiosi di africanistica e di islamistica hanno dovuto dunque prendere atto di tale situazione e hanno iniziato ad occuparsi dell’Islam africano in un’ottica diversa: decostruendo la categoria coloniale di “Islam nero”, essi hanno riconosciuto non solo che l’Islam è parte integrante della storia dell’Africa, ma anche che l’Islam africano partecipa a pieno titolo alla Umma musulmana. Esso pertanto, anche se presenta peculiarità proprie, riflette le dinamiche globali dell’Islam e ne condivide il linguaggio politico in tutta la sua duttilità e plasticità. L’Islam sub-sahariano infatti, come scrive Adriana Piga, “appare contemporaneamente e dialetticamente religione di Stato, strumento del potere e insieme religione popolare, rifugio e simbolo dell’inquietudine e della protesta appena camuffata delle classi marginali”. Il linguaggio politico islamico a Sud (ma anche a Nord) del Sahara è dunque eterogeneo e multiforme: può essere autoritario o rivoluzionario, egemonico o subalterno, legalitario o di contestazione. In questa sede si è deciso, seguendo il pensiero del politologo francese Christian Coulon, di porre l’accento sulla capacità dell’Islam di funzionare, per certi gruppi e in determinati contesti, come una forma di controcultura, uno strumento di resistenza e anche come un discorso rivoluzionario. È chiaro che l’Islam africano non è solo questo, ma sicuramente riflettere su questa tipologia di discorso politico diffuso in Africa sub-sahariana significa mettere in luce uno degli aspetti essenziali della straordinaria vitalità che caratterizza l’Islam politico contemporaneo e l’azione politica dei musulmani africani. Per portare avanti questa riflessione, di seguito tratto, in primo luogo, del discorso radicale e attivista, presente nel linguaggio politico islamico, il quale da sempre si contrappone al principio autoritario e quietista del potere. In secondo luogo mi focalizzo sull’Islam africano, in particolar modo su quegli aspetti che lo rendono uno strumento di resistenza e di contestazione per i gruppi sociali marginali. Successivamente mi soffermo sulle fasi salienti della storia dell’Islam africano (epopea dei jihad, colonialismo, indipendenza e decolonizzazione, contemporaneità) dimostrando che l’Islam, in certi contesti e per alcuni gruppi, può assumere i tratti di una controcultura e di un contropotere. Infine evidenzio due esempi eterogenei ma paradigmatici dei vari modi in cui il linguaggio politico dell’Islam si può declinare: in primis il ruolo della confraternita Hamalliyya nella resistenza anticoloniale degli anni ’30 e ’40 e, successivamente, il rapporto tra Islam e Stato nel Burkina Faso “rivoluzionario”degli anni ’80.
Estratto da Sine Contracultura
PRIMA PARTE pubblicata qui il 03/11/2019 I mali della cultura. L’interesse e le lobby? Come ho scritto più o meno all’inizio di questo scritto, il maggior nemico della cultura è l’interesse. Come penso, di aver dimostrato fin qui, la controcultura, sottoforma di protesta, si è manifestata nel novecento, contro le più svariate forme di potere. Ma il potere è caratterizzato da una serie innumerevole di poteri, da cui dipendono le influenze in società delle lobby. Potere e Lobby Gay Il potere per salvaguardare lo status quo e conservarsi ha l’obbligo di mistificare la realtà, creare disordine, sradicare l’uomo dalla società, manipolare l’informazione, ma soprattutto limitare il pensiero dell’opinione pubblica attraverso un linguaggio fondato sul dualismo politico, morale ed estetico. Amico/nemico, destra/sinistra, bene/male, bello/brutto, buono/cattivo. Come se tutto potesse essere etichettato e messo in un catalogo, il quale in fin dei conti altro non è che il “pensiero unico”, la “
Non la ragione, ma il pensiero inconsapevole ha spinto i popoli a rischiare e spendere la propria vita.Per la natura stessa di questo fenomeno in passato vi era un unico strumento per integrare interi popoli: o ti converti o muori. In realtà si tratta per lo piú di eliminare i «diversi». É quasi impossibile far cambiare idea alle persone, in particolare quando credono a idee per la ragione implausibili. Si puó solo vivere o morire per esse. Sono idee che non si possono sconfiggere con la ragione e sono fuori dal controllo umano. Ma ci sono umani che possono usarle per controllare altri umani. Idee implausibili, ma potenti. Se tutto questo fosse ragionevolmente vero, l’islam, come qualsiasi altre religione o ideologia, rappresenta una spinta «automatica» verso un modello di vita. Qui si chiude il cerchio: chi integra chi? Quale idea implausibile avrà il sopravvento? --- L’Europa ha peró insegnato al mondo che esistono altri modi di pensaree e di agire; per esempio esplorare le idee del prossimo e usarle a proprio vantaggio. Una differenza non di poco conto.
RispondiEliminaL'Europa però ha conosciuto la prima vittoria radicale di popolo. La rivoluzione francese
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