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KUNG FU GENDER

«[…]l’idea che si possa crescere con due papà, uno biologico e uno adottivo, che in assenza di una mamma questa sia sostituibile da un doppione maschile». Con queste parole, Mario Adinolfi ‘manda alla gogna’ il nuovo capitolo del film della DreamWorks, accusandolo di corrompere i bambini su temi che in Italia sono ancora irrisolti Sabato scorso ho visto il terzo capitolo della saga per bambini Kung Fu Panda prodotto da DreamWorks Animation. Tutti, conoscono a memoria la storia del piccolo panda Po che sogna di diventare un esperto di arti marziali, abbandonato, a causa di guerre e discordie, appena nato e cresciuto da un papà oca; un bel cartone, capace di far ridere ma anche di far riflettere. E forse, con questo terzo capitolo, la DreamWorks ha fatto riflettere un po’ troppo. In occasione ho ricordato un tema sempre attuale in Italia. Secondo Mario Adinolfi, la pellicola farebbe «il lavaggio del cervello ai bambini» in quanto promuove l’ideologia gender, poiché il protagonista ha sia un padre biologico sia un padre adottivo e, al giorno d’oggi, ciò è visto come un sacrilego peccato morale. Fabio Volo ha attaccato il giornalista sostenendo che quest’ultimo ha «trovato nella religione una casa per patologie: in una società normale sarebbe curato con gli psicofarmaci!». La risposta del pubblico mediatico sia nei confronti del primo come nei confronti del secondo, ha dato vita a una reazione a catena che ha prodotto uno scontro tra i genitori e maestre. Rimembranze. Ci chiediamo: ma al di là dei nostri confini questo cartone per bambini ha recato un così tanto disturbo? O forse, l’Italia è semplicemente ‘mamma’ di strategie retrograde, il cui unico fine è il fare politica che assoggetta il singolo?

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