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ROVESCISMO CULTURALE. REVISIONISMO STORICO

La diatriba anacronistica fascismo – antifascismo ha subito una impennata con alcune decisioni discutibili o meno, prese in tema di immigrazione, in merito alla chiusura dei porti. Quel che sconcerta maggiormente è il modo in cui si strumentalizza il richiamo all’antifascismo, indicandolo come elemento fondante della democrazia. Intanto si rischia di aggrovigliarsi in nodi costituzionali a discapito di qualcuno, che umanamente ha bisogno di aiuto e rischia la pelle in mare aperto. Al contempo si mina alle fondamenta della Costituzione italiana. Qui ci si limita a porre accento sull’aspetto culturale di tale diatriba. Più in generale oggi, secondo una parte di opinione pubblica, ricomincia a riaffiorare il pericolo fascista dappertutto. Finanche a palazzo Chigi. Non manca però l’accusa accademica nei confronti di chi ha provato a dare una versione rivisitata culturale del fascismo, colpevoli di rovescismo, piuttosto che revisionismo. E’ però corretto, come questi accademici danno invece per scontato, considerare in blocco fascismo e nazismo? Il fascismo è stato un fenomeno omogeneo? E’ quindi giusto vedere in parallelo fascismo ed antifascismo, e decretare la netta incomunicabilità? Vale la pena fare un tuffo nella storia e ricordare le argomentazioni con cui, addirittura un dirigente comunista come Giorgio Amendola, sollecitava analisi più attente e realistiche sul ventennio fascista. Amendola mosse dalla contestazione di quanti mettevano sullo stesso piano fascismo e nazismo. In proposito lapidariamente sottolineava “…Se avessero applicato in Italia i metodi di repressione nazista, io non sarei qui adesso a parlare…”. Amendola non si limita solo alla metodica di repressione, ma insiste sulla radicale differenza dei due regimi, “…Il fascismo ha avuto sempre la caratteristica di non essere monolitico…”. C’era una diarchia in Italia tra Mussolini ed il Re. Forma governativa, probabilmente al quanto grottesca, ma indubbiamente innegabile. Non vi era il monolitismo culturale. A differenza di quanto avvenne in Germania, in Italia fu possibile per i comunisti avere una crescita interna, proprio per questa caratteristica, di non essere monolitico, propria fascista. Per tanto sin dal 1935, con Togliatti si andava definendo una politica entrista nei sindacati e nelle organizzazioni associative e giovanili fasciste. E nel 1936 fu redatto l’appello alla “riconciliazione nazionale”. Amendola, a differenza della storiografia dominante, che stigmatizzava quell’appello, esalta il valore di quel testo, per far comprendere il valore centrale di una politica di riconciliazione nazionale, ispirata al programma fascista. Per cui nel testo pubblicato sul num.8 del 1936 dell’organo di partito “Stato Operaio”, si dichiara che “noi comunisti facciamo nostro il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, libertà e di difesa degli interessi dei lavoratori, e vi diciamo : lottiamo uniti per la realizzazione di questo programma.” Del resto Pasolini scriveva a Moravia. Imperdonabilmente.

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