Nel nostro paese manca un partito liberale vero, non farlocco, né riproposto sotto forma caricaturale di quel circolo limbico che fu il Pli in un’era storica oggettivamente nemica della libertà, né la riproposizione in forma ludica e monoriferita che fu Forza Italia. E, soprattutto, nulla che abbia a che fare con l’inganno dei “liberali” avvezzi a favorire burocrazie iperdirigiste oppure oligolopoli tecnofinanziari che vivono uccidendo il libero mercato.
La necessità di un movimento liberale sta diventando endemica. Si auspica qualcosa come i Tories inglesi o i Repubblicani americani. Qualcosa, o qualcuno, che muova dall’equazione più spazio possibile al diritto naturale dell’individuo, meno spazio possibile allo Stato. La scelta di campo intrattabile in tema di Welfare State sull’unico modello economico che abbia garantito sviluppo duraturo e comprovato all’umanità, il libero mercato. Il salvataggio del liberalismo dall’ideologia liberal. No moltiplicazione di diritti collettivi, no religione dell’eutanasia o dell’omosessualmente corretto, no imposizioni ai genitori sulla vita e il fine-vita dei figli, ma poche parole d’ordine. Vita, libertà, proprietà. Il liberalismo lavora per sottrazione perché difende le libertà di ognuno di noi. Chi aggiunge i doveri sociali o perfino la redistribuzione dei profitti è un marxista che non ha il coraggio di proclamarsi tale. Un liberalismo thatcheriano, radicale, che proclami forte l’ovvietà per cui questa Unione Europea, è un nemico. Un liberalismo impietoso nelle situazioni interne, ovviamente, pronto ad affrontare i problemi della spesa pubblica con l’unico strumento di politica economica utile oggi in Italia, l’ascia. Un liberalismo sincero con se stesso sulla questione fiscale, pronto a far precipitare la pressione fiscale dall’immorale 45% (ma si arriva ben oltre) a meno della metà, a fare qualcosa di reaganiano, a scioccare il Paese col coraggio dei principi e con la forza delle decisioni. Un liberalismo, infine, conscio della propria anomalia, che si chiama Occidente, e disposto a difenderla soprattutto di fronte a minacce mortali, un liberalismo che non degeneri nei suoi contrari, il multiculturalismo collaborazionista che spalanca confini e porte agli importatori della sharia e l’innamoramento fatale per autocrati e massacratori della libertà a vario titolo. Un liberalismo di battaglia, non relativista, eccezionalista, pronto a riconoscere l’eccezione virtuosa costituita oggi dall’azione, di nuovo, assertiva e trainante per il mondo libero, degli Usa con la presidenza Trump e dall’istinto conservatore inglese che ha sfanculato gli euroburocrati al grido di Brexit, perché pronto a riconoscere il vero nemico di oggi, il volto contemporaneo del totalitarismo: il politicamente corretto. E quindi, scorrettezza integrale, rottura degli schemi, apertamente schierato con l’unica rivoluzione possibile. Meno tasse, meno burocrazia, meno interventismi economici ed etici, meno Stato.
Un partito conservatore, repubblicano e liberista.
Il livello di strumentalizzazione politica della sinistra italiana ha raggiunto picchi verso il basso così talmente gravi da fare indurre a una riflessione sul livello di ignoranza giovanile, intesa come disinformazione storica, nei confronti della Politica internazionale. Premettendo che ognuno è libero di pensare e manifestare per qualunque causa si ritenga giusta, occorre avere sott’occhio due cenni storici dell’origine della terra contesa sin dalla notte dei tempi. Una interessante spiegazione sulla città di Gaza della Prof.ssa Daniela Santus, docente del dipartimento di letteratura e lingue straniere e Cultura Moderna, dell’Università di Torino, afferma che Gaza non nasce come città palestinese o islamica. Da un punto di vista storico sappiamo che il Faraone Thutmose III, alla guida delle sue truppe, nel 1457 a.C., proprio a Gaza, sceglie di celebrare il ventitreesimo anniversario della sua ascesa al trono. L’islam nascerà quasi 2100 anni dopo che Gaza aveva ospitato i festeggi
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