E’ forse questo il tempo dell’avvento nichilistico di cui profetizzava il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche quasi duecento anni fa? Questo è il tempo della scelta: o la rivolta del singolo o il governo del pensiero globale.
In che modo oggi si può parlare di Controcultura? E’ possibile che questa parola possa incarnare un senso profondo, possa sperare in un significato fondamentale sullo sfondo politico e sociale italiano ed Occidentale?
Per pensare la Controcultura, non posso che avvicinarmi al termine “cultura”. Ne trovo in primis, un’accezione che conduce a termini quali arte, filosofia, letteratura, cinema. Tutte forme e sfaccettature di una cultura che, sempre più lontana dal mondo reale e distaccata dall’ambiente giovanile, è divenuta per quanto riguarda il campo istituzionale, o accademico, una forma chiusa dalla quale attingere nozioni morte, mentre nel contesto del singolo o dell’acculturazione individuale, una carcassa svuotata di senso e commercializzata ai fini del profitto – pensiamo ad esempio alla letteratura Mondadori-Feltrinelli, letteratura di Fabio Volo, Moccia, Ammanniti e Saviano, o al grande schermo dei cinepanettoni.
Parlare di cultura quindi, parlare davvero di cinema, filosofia, letteratura, poesia, arte, dandovi vita e senso, rapportandola ad un contesto vivo, risucchiandone l’attualità che ognuna di queste ricche e grandi forme riesce ad evocare, può e deve essere pensato come un atto rivoluzionario, controcorrente, che esce appunto dagli schemi prestabiliti dalla nostra Cultura.
Per Cultura, prendiamo il termine in senso lato, ovvero Cultura come insieme che ingloba la mentalità e le convenzioni del mondo moderno e, del resto, anche quella stessa cultura (morta) di cui ho parlato sopra.
Una Cultura immensa e allo stesso tempo sottile, che spazia, in un sistema di valori nuovo, che si scioglie nel mondo dei piaceri facili, del “tutto e subito”, “dell’usa e getta”, dell’indifferenza, alimentata dalla società dei consumi, dalla televisione spazzatura, dalla pubblicità incondizionata, dalla affermata equivalenza di essere e apparire. La Cultura “pop”, moderna e Occidentale che dal 1945 ha cambiato l’esistenza della popolazione europea, e più o meno indirettamente, anche quella mondiale (pensiamo alla globalizzazione), una Cultura del Potere che, durante tutti questi anni si è caratterizzata dalla determinazione, dal successo e sopratutto dalla smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo Sviluppo: produrre e consumare. Fino in fondo ci siamo arrivati, ed ecco il vero volto della nostra Cultura, che finalmente si riduce a questo: produrre e consumare. Noi siamo liberi consumatori, niente più. E’ a questa definizione che si riduce il metro di misura con cui la nostra Cultura ed i suoi derivati decidono quanto è libero e democratico un popolo. L’Italia è un Paese democratico perché noi siamo democratici consumatori.
Ma se quindi non possiamo andare contro quella forma morta che è la cultura di cui si accennava inizialmente – un patrimonio storico-intellettuale che forse ha raggiunto il suo ultimo e nichilistico paradigma – possiamo e dobbiamo andare contro quella che è la nostra Cultura, la Cultura della modernità e di tutti i suoi miti di mezzo secolo, contro l’idea insostenibile di mercato sregolato: gli idoli di una Cultura che in breve tempo, con il distacco dal mondo rurale e dai valori della terra, si è imposta – nel nuovo sistema industrializzato, terziarizzato, sull’idea di nazione e sull’idea di popolo, a favore di un nuovo ordine cosmopolita ed individualista, consumista, distruttivo e anti-solidale, alienato e standardizzato.
Insomma contro una Cultura che si pretende libera e democratica, ma che si dimostra il contrario, una Cultura prefabbricata, dogmatica e totalitaria che già nei primi agenti di socializzazione – quali famiglia, scuola e università – si insinua attraverso il suo nuovo Vangelo: il “politically correct”. Un pensiero unico dominante ed uniforme che vive, sussiste, e si alimenta nel mondo giovanile come in quello adulto, con tutta la sua forza.
Era proprio questo il futuro dell’Occidente? Tutta la nostra storia, tutto il passato di un’Europa grande, che si è idealmente mossa di rivoluzione in rivoluzione, pur con qualche controversia, verso ideali nobili, si riduce oggi ad una società massificata e stereotipata, dove la grande classe media (sempre più povera) si è abbandonata ai valori del consumo, dell’apparire piuttosto che dell’essere, mentre le sue sottoclassi di sinistroidi, radical chic, moralisti, europeisti e perbenisti dell’ultima ora, privi di punti di riferimento ideologici si aggrappano alle ultime (false) credenze del sistema: l’idea di libertà e democrazia, il concetto di diritti umani, di bellezza del diverso. Ma finalmente l’attualità ce lo dimostra: sono i punti principali che il sistema sta scardinando a favore di un’oligarchia che con i diritti umani e gli interventi “umanitari” ci guadagna, che con le multinazionali e la iper-globalizzazione appiattisce sempre di più le varietà etniche, che parla di democrazia e piega i popoli europei ai diktat della Troika e dell’austerity, senza chiedere consenso.
E se dunque il mondo moderno siamo noi, noi esponenti di questa grande, generalizzata e vuota Cultura che va rimessa in causa, che va ritrattata o, addirittura azzardo, rifondata, perché non ci appartiene – non appartiene a nessuno, è senza patria, si muove con l’economia, con l’investimento, al passo del mercato e delle multinazionali, travestendo i suoi interessi sotto una nuova illusione lessicale che storpia termini quali democrazia, libertà, intervento umanitario, diritti umani – allora dire “ControCultura” ha ancora un senso, e non è l’accezione sessantottina del “tutto subito”, né l’idea di rivoluzione di massa, ma come rivolta del singolo, rivolta individuale, spontanea, dell’Uno contro sé stesso.
“Rivoluzione e Rivolta non devono essere presi per sinonimi. La prima consiste in un rovesciamento dello stato di cose esistente, dello statuto dello Stato o della Società: essa è dunque un atto politico o sociale. La seconda, pur comportando inevitabilmente una trasformazione dell’ordine costituito, non ha in questa trasformazione il suo punto di partenza. Essa deriva dal fatto che gli uomini sono scontenti di se stessi e di ciò che li circonda. Essa non è una levata di scudi, ma un sollevamento di individui, una ribellione che non si preoccupa assolutamente delle istituzioni che potrà produrre” (Max Stirner).
ControCultura quindi non come opposizione, non come critica incastonata in un modello, in uno schema dialettico che si risolve nel concetto hegeliano tesi-antitesi-sintesi, ma come “oltre”, “al di là”, controCultura come superamento di un sistema perverso di cui siamo schiavi e fautori, un sistema che si nutre di indifferenza, è causa di noia e spassionatezza, degenera nel qualunquismo e nel non senso. E’ forse questo il tempo dell’avvento nichilistico di cui profetizzava il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche quasi duecento anni fa? Sicuramente possiamo affermare che questo è il tempo della scelta: o la rivolta del singolo, o il governo del pensiero globale.
Il livello di strumentalizzazione politica della sinistra italiana ha raggiunto picchi verso il basso così talmente gravi da fare indurre a una riflessione sul livello di ignoranza giovanile, intesa come disinformazione storica, nei confronti della Politica internazionale. Premettendo che ognuno è libero di pensare e manifestare per qualunque causa si ritenga giusta, occorre avere sott’occhio due cenni storici dell’origine della terra contesa sin dalla notte dei tempi. Una interessante spiegazione sulla città di Gaza della Prof.ssa Daniela Santus, docente del dipartimento di letteratura e lingue straniere e Cultura Moderna, dell’Università di Torino, afferma che Gaza non nasce come città palestinese o islamica. Da un punto di vista storico sappiamo che il Faraone Thutmose III, alla guida delle sue truppe, nel 1457 a.C., proprio a Gaza, sceglie di celebrare il ventitreesimo anniversario della sua ascesa al trono. L’islam nascerà quasi 2100 anni dopo che Gaza aveva ospitato i festeggi
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