È difficile non interpretare l’attività dell’ultimo
presidente dell’Unione Sovietica alla luce di ciò che è diventata oggi la
Russia e soprattutto della guerra che Mosca conduce in Ucraina ormai da sei
mesi.
Al potere dal 1985 fino alla fine dell’Urss nel 1991,
Michail Gorbačëv non ne desiderava la scomparsa. Voleva solo umanizzarla e
modernizzarla nel tentativo di salvarla. I suoi due progetti principali, la
glasnost e la perestrojka, incentrati sulle libertà e sulla trasformazione
economica, puntavano a far emergere un’Urss senza totalitarismo. Ma si trattava
di un piano utopico. La scommessa è stata persa, per riprendere il titolo di un
libro dell’ultimo portavoce di Gorbačëv, Andreij Graciev.
Alla fine l’Unione Sovietica è implosa, un evento storico
accolto dagli occidentali e dai popoli europei come un miracolo inatteso e
portatore di un’epoca di democrazia. Eppure oggi molti esponenti dell’homo
sovieticus, gli uomini e le donne forgiati da decenni di comunismo, condividono
l’opinione espressa in passato da Vladimir Putin secondo cui la morte dell’Urss
è stata “la più grande catastrofe geopolitica del ventunesimo secolo”.
Putin è diventato presidente della Federazione russa il 1
gennaio 2000, presentandosi inizialmente come l’antitesi a Boris Eltsin,
responsabile della discesa all’inferno della Russia. Putin è stato scelto per
risanare il paese, compito che ha portato a termine. I russi gliene sono stati
riconoscenti.
In un secondo momento Putin è diventato anche l’antiGorbačëv
costruendosi un’immagine di ex agente del Kgb virile e determinato e basando
sull’autoritarismo e sull’antioccidentalismo della Russia il quadro ideologico
del suo lungo regno.
L’Unione Sovietica è morta, ma il sovietismo le è
sopravvissuto. Gorbačëv è uscito di scena quando Putin ha trasformato la Russia
in una potenza autoritaria agli antipodi della glasnost, in guerra
semidichiarata con l’occidente laddove il principale merito dell’ultimo
presidente dell’Urss era stato quello di aver seppellito la guerra fredda.
L’invasione dell’Ucraina è il punto d’arrivo di questa demolizione di fatto del
sogno di Gorbačëv.
L’Urss è morta, ma il sovietismo le è sopravvissuto. Putin
sfrutta questo sentimento per ridurre al silenzio i critici sul fronte interno
e per imporre il rispetto e la riverenza a quella che considera come la sfera
d’influenza naturale della Russia. L’Ucraina e la sua tentazione europea non
hanno spazio in questa visione del mondo.
Gorbačëv aveva scelto di consentire all’ex blocco sovietico
di emanciparsi e aveva un progetto che avrebbe dovuto trascendere i blocchi,
quello della “casa comune europea”. Gli occidentali non lo hanno seguito,
soddisfatti di aver ottenuto la fine della guerra fredda e poi anche la fine
dell’Urss.
È questo malinteso, questo “imbroglio” del 1991, che ancora
oggi viene rimproverato a Gorbačëv dai suoi critici russi. Per questo motivo il
suo nome è venerato in occidente ma disprezzato in Russia. La sua morte, in
piena guerra in Ucraina, ne è il simbolo definitivo.
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