Questa campagna elettorale non solo è stata pessima nei contenuti e deprimente nella modalità, ma anche molto noiosa per via di pronostici che ne hanno reso prevedibile l’esito, come un libro giallo che svela il nome dell’assassino già alla prima pagina. Però si è sempre avuta l’impressione, che invece il libro della politica italiana sia pronto a riservarci molte sorprese. Che usciranno direttamente dalle urne, ma anche e soprattutto da quel che accadrà subito dopo. E provare ad ipotizzarle ed a schematizzarle.
Da quando nei giorni scorsi è scattata la regola che vieta
la pubblicazione di sondaggi nelle ultime due settimane prima del voto, è
cominciata a circolare sotto traccia una quantità industriale di ricerche
demoscopiche, vere e tarocche, attendibili e fasulle. Il fatto che i numeri
riportati per ciascun partito siano significativamente diversi l’uno
dall’altro, ben oltre la classica forchetta di quattro punti, la dice lunga
sulla capacità divinatoria dei sondaggi. D’altra parte, non sarebbe la prima
volta che le urne smentiscono le previsioni della vigilia.
Si continua a ragionare sulle percentuali di voto, mentre la
cosa più importante è l’attribuzione dei seggi, per di più con modalità di
conteggio diverse tra Camera e Senato, non è detto che le due cose –
percentuali e seggi – vadano di pari passo.
Finora, l’ipotesi che la maggioranza assoluta dei seggi
toccherà alla coalizione di destra-centro, è derivata da un dato
incontrovertibile, e cioè che sul fronte opposto la coalizione non c’è. Anzi,
ci sono tre forze in competizione tra loro. E che, di conseguenza, la gran
parte dei collegi uninominali, dove basta un voto in più per vincere, non può
che andare a chi si presenta unito.
Nel concreto, se è vero che i 5stelle stanno recuperando una
parte del consenso che sembravano aver perduto, e se è altresì fondata
l’ipotesi che tale recupero si stia concentrando al Sud – cosa fondata nella
misura in cui per lo più si tratta di un “voto di scambio legalizzato”
derivante dai percettori del reddito di cittadinanza, appunto concentrati in
alcune zone del Meridione – ne deriva che su una parte di quel 37% di seggi che
sarà assegnato con l’uninominale Conte è più competitivo di quanto non si sia
fin qui immaginato. A scapito del destra-centro.
È difficile dire con esattezza di quanti seggi stiamo
parlando, ma una cosa potremmo dare per acquisita: mentre alla Camera lo
spostamento non inciderà sul risultato finale, al Senato – la cui base di
calcolo è regionale – l’effetto potrebbe essere significativo. Naturalmente
molto dipenderà da quanto Giorgia Meloni e alleati prenderanno al proporzionaleOra,
la remontada di Conte, supponendo che sul piano nazionale lo attesti al 17-18%
dei voti, è difficile ma non impossibile che metta in minoranza il
destra-centro (sempre di Senato stiamo parlando, ma è lì che si gioca la
partita vera). Tuttavia, può anche ridurgli da comoda a ristretta la
maggioranza. Con tutto quel che può significare sul piano degli equilibri
parlamentari.
Conte potrà dire di aver salvato il Movimento ormai ex
grillino, potrà intestarsi il ridimensionamento del destra-centro e,
consigliato dal suo amico Massimo D’Alema, potrà mettere in difficoltà Enrico
Letta. Specie se il risultato del Pd dovesse rivelarsi deludente e comunque non
distante da quello dei 5stelle. Questo spingerà le componenti del Pd da sempre
in sintonia con Conte e che hanno maldigerito il mancato accordo elettorale con
i 5stelle ad aprire un fronte di immediato raccordo politico-parlamentare con
l’avvocato del popolo, costringendo Letta a scegliere tra l’abdicazione a
favore di una linea politica non sua o la resa, con relative dimissioni. È
presto ora per dire cosa accadrà, ma è possibile che tra le sorprese del dopo
elezioni ci sia anche una frattura tra le due anime dei Democratici, con una
aggregazione a sinistra e un’altra riformista che metta insieme la parte più
moderata del Pd con il duo Calenda-Renzi e i tanti fuoriusciti da Forza Italia.
Scenario che non si verificherebbe, o comunque avrebbe tempi lunghi e una
gestazione molto complessa, se invece i 5stelle stessero ben sotto il 15% e il
Pd ben sopra il 20%.
La scena del comizio unitario di Meloni, Salvini e
Berlusconi nella romana piazza del Popolo non tragga in inganno. Quella del
destra-centro è solo una coalizione elettorale che ha retto faticosamente alle
forzature della propaganda ma che non potrà trasformarsi in una duratura
coalizione politica. Lo rendono impossibile la palese diversità di vedute su
quasi tutti i temi dell’agenda politica, l’incompatibilità assoluta dei due
leader maggiori e l’ormai evidente inconsistenza del terzo. Ma soprattutto, a
fare da discrimine c’è la posizione su Putin e il sostegno (anche militare)
all’Ucraina da parte di Salvini e di Berlusconi, che Meloni, salvo suicidarsi
prima ancora di cimentarsi al governo, non potrà avallare e che comunque
troverà nel presidente della Repubblica una barriera insormontabile. Così come
l’Europa non potrà non chiedere conto alla leader di FdI del suo rapporto con
Orban: l’Italia nel contesto comunitario è il terzo lato dell’asse
franco-tedesco
Ma c’è un altro fattore, fin qui non considerato dagli
osservatori, che agiterà le acque nel destra-centro. L’accordo sottoscritto al
momento della formazione del cartello elettorale ha previsto una partizione dei
seggi “sicuri” basata su una previsione di rapporti di forza che probabilmente
le urne non confermeranno. Nel senso che FdI avrà più voti del previsto, mentre
Lega e Forza Italia meno, o forse anche decisamente meno. Ergo, Meloni
risulterà sottorappresentata e gli altri due sovrarappresentati. E questo fatto
non potrà che aggiungere fibrillazione a fibrillazioni, favorendo il passaggio
da un fronte all’altro dei parlamentari eletti. Senza contare che, se tutto questo
si verificasse, significherebbe che Salvini e Berlusconi avrebbero registrato
un risultato politico deludente, e che, di conseguenza, potrebbero aprirsi due
fronti sanguinosi: la resa dei conti nella Lega e la grande fuga da Forza
Italia.
Ultimo elemento di valutazione riguarda il cosiddetto Terzo
Polo. Dunque, per essere credibile chi si fregia di questo titolo non può
diventare tale all’ultimo momento solo perché non è riuscito a fare gli accordi
giusti con una delle due parti in gioco. Purtroppo, invece, questa è la storia
del duo Calenda-Renzi, matrimonio dell’ultima ora tra due che si odiano e che
faranno un’enorme fatica a restare insieme anche se avranno, come è probabile,
un buon successo. Detto questo, è fallace l’obiezione che si fa comunemente
circa il fatto che il consenso dato a loro è un “voto inutile”. Sia perché non
essendoci più il bipolarismo viene meno l’assunto. Sia perché, è alta la
probabilità che il 26 settembre ci si presenti uno scenario a dir poco
complicato e che in quel contesto una forza intermedia potrà risultare
preziosa.
Il nostro paese è in seria difficoltà, e la guerra e le sue
varie conseguenze non potranno che aggravarla nei prossimi mesi. È dunque
necessario sforzarsi di fare una scelta. Quale non spetta a noi dirlo. Si può
solo richiamare le analisi offerte e consigliare di evitare estremisti,
populisti, sovranisti-nazionalisti, giustizialisti. Si dirà: ma così non ci
rimane nessuno. In effetti…Buon senso e Buon voto.
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