Passa ai contenuti principali

STORIA DELLA CONTROCULTURA (1a Parte)

«La rivoluzione non è un qualcosa legato all'ideologia, né una moda di una particolare decade. È un processo perpetuo insito nello spirito umano» (Abbie Hoffman) Quando parlo di controcultura, parlo di qualcosa che non corrisponde esattamente al significato odierno della parola, che è la traduzione letterale del counterculture americano. Nell’Italia degli anni settanta, il termine controcultura aveva assunto un senso più specifico : si riferiva a una realtà politica nata più o meno a metà strada tra i due grandi movimenti giovanili del 1968 e del 1977, ereditando parecchi contenuti dal primo e anticipandone altri del secondo. Sta forse proprio in questa collocazione ibrida una delle ragioni principali del suo oblio. Eppure la controcultura italiana poteva contare, al sommo della sua gloria (ovvero all’incirca il periodo 1973-74), su una rete di contatti a livello nazionale che copriva l’intera penisola. Ne facevano parte più di un centinaio di gruppi giovanili indipendenti : centri di controcultura nelle città e comuni di campagna. Circa una metà facevano riferimento a Re Nudo di Milano, l’altra metà a Stampa Alternativa di Roma. Quest’ultima non aveva ancora assunto la veste della casa editrice che si sarebbe affermata in seguito con i libri a mille lire. Era un’agenzia di stampa che si faceva portavoce delle principali istanze del mondo giovanile dell’epoca : l’esigenza di decommercializzare il mondo della musica, la lotta contro la famiglia, la battaglia per la liberalizzazione delle droghe – tutte battaglie gloriosamente perdute. Guardando alla controcultura oggi - a quasi quarant’anni di distanza - credo di poter affermare che si trattò del momento più elevato di una concezione introdotta a livello di massa dal Sessantotto, e che ai nostri giorni è lontana come può esserlo un’altra galassia : l’unificazione della politica e della vita – la politica vissuta come esperienza formativa a livello interiore. «Il Sessantotto è finito» scriveva Umberto Eco nel 1980, «ed è giusto che lo si giudichi storicamente». Ecco, infatti, il tentativo di ricostruire la storia di quell’ondata contestataria che nella seconda metà degli anni Sessanta dilagò in paesi differenti e modificando radicalmente usi e costumi. Protagonisti di questa intensa stagione di protesta furono essenzialmente i giovani ovvero la generazione che, nata nel secondo dopoguerra, crebbe «all’ombra della bomba atomica». Ha scritto Hannah Arendt –, «ci troviamo di fronte a una generazione che non è affatto sicura di avere un futuro»; poiché il futuro, come afferma Spender, è «come una bomba ad orologeria sepolta, ma che fa sentire il suo ticchettio nel presente». Alla domanda chi sono coloro che fanno parte di questa generazione? Si è tentati di rispondere: Quelli che sentono il ticchettio. Sebbene molti studiosi, da una parte, concordino nel ritenere che il 1968 sia stato l’anno in cui esplose la rivolta dei “figli” contro i “padri”, della rivoluzione sessuale, dell’impegno per i diritti civili e dall’altra lo riducano tout court ad una rivoluzione del costume, della mentalità e del linguaggio, l’esplosione della contestazione a livello planetario fu solo un punto di arrivo a cui si approdò dopo esperimenti audaci di controcultura e dissertazioni teoriche e filosofiche che intellettuali, considerati eretici, avevano iniziato a diffondere all’inizio del decennio preso in considerazione. Il nesso fra elaborazione intellettuale ed azione rivendicativa non si realizzò nell’ambito della politica istituzionale o nelle sedi dei partiti tradizionali ma nell’ambito di quella che potremmo definire una “politica di movimento”. Esso contribuì alla definizione di un nuovo spazio politico, dai confini più estesi in cui prese corpo la geografia mentale del ‘68. Esso quindi è l’acme di un processo di radicalizzazione politica che partendo dai ragazzi con le magliette a strisce, che a Genova contestarono il governo Tambroni nel luglio ’60, si concluse davanti ai cancelli delle fabbriche nel ’69. Nel corso di quel “lungo decennio” ci si imbatte nei giovani operai meridionali da poco immigrati a Torino protagonisti degli scontri di piazza Statuto del ’62, nei beat italiani, che con i loro comportamenti “devianti” (capelli lunghi, abiti trasandati e fughe da casa) scandalizzarono gran parte dell’opinione pubblica italiana; nella coraggiosa contestazione dei cattolici del dissenso, figli del Concilio Vaticano II, e nella nascita del movimento studentesco. I contenuti tipici del ‘68 emersero, infatti, già all’inizio degli anni Sessanta divenendo urgenti nel biennio ’66-’67. Fu proprio durante questo biennio che si registrò in Italia l’affermarsi di un protagonismo giovanile che interessava e attraversava campi disparati: dagli stili di vita alla musica, dai viaggi alla politica. Fu in questo periodo che i giovani cominciarono a far sentire la loro voce apparendo nelle strade e nelle piazze con una radicalità dei comportamenti che in qualche modo preannunciava l’esplosione successiva. Estratto da Sine Contracultura

Commenti

Post popolari in questo blog

CULTURA ED ATTUALITA' 2a PARTE

PRIMA PARTE pubblicata qui il 03/11/2019 I mali della cultura. L’interesse e le lobby? Come ho scritto più o meno all’inizio di questo scritto, il maggior nemico della cultura è l’interesse. Come penso, di aver dimostrato fin qui, la controcultura, sottoforma di protesta, si è manifestata nel novecento, contro le più svariate forme di potere. Ma il potere è caratterizzato da una serie innumerevole di poteri, da cui dipendono le influenze in società delle lobby. Potere e Lobby Gay Il potere per salvaguardare lo status quo e conservarsi ha l’obbligo di mistificare la realtà, creare disordine, sradicare l’uomo dalla società, manipolare l’informazione, ma soprattutto limitare il pensiero dell’opinione pubblica attraverso un linguaggio fondato sul dualismo politico, morale ed estetico. Amico/nemico, destra/sinistra, bene/male, bello/brutto, buono/cattivo. Come se tutto potesse essere etichettato e messo in un catalogo, il quale in fin dei conti altro non è che il “pensiero unico”, la “

OGGI È ATTACCO AL VINO, IERI ALLA PROPRIETÀ. E DOMANI...

  I salutisti dell’Unione europea tornano alla carica con un’altra battaglia: quella contro il vino. A fare da apripista è stata l’Irlanda, che potrà dunque applicare sugli alcolici un’etichetta con scritto “il consumo di alcol provoca malattie del fegato” oppure “alcol e tumori mortali sono direttamente collegati”. O più direttamente "il vino provoca il cancro". Secondo i dati di Alcohol Action Ireland, il consumo di alcol puro pro capite tra chi ha più di 15 anni è stato di 10,07 litri nel 2020, che corrisponde a poco meno di 40 bottiglie di vodka, 113 bottiglie di vino o 436 pinte di birra e supera del 40% il livello di consumo indicato dalle linee guida dell’agenzia governativa Health Service Executive (HSE). Quindi l'Irlanda, attraverso il silenzio assenso della Commissione Europea, con questo provvedimento, crede sul serio di combattere l'abuso di alcol? Perché i dati sopra elencati chiariscono e permettono di affermare che siamo in presenza di un eccesso di uti

LA CONTROPRODUCENTE GIORNATA MONDIALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

  E' sempre con profonda amarezza che osservo la celebrazione di giornate come questa, accanto a tutto il carico di ipocrisia politicamente corretta che ci viene propagandata mediaticamente, tra chi si tinge il viso di rosso, cariche istituzionali che si prestano a questo giochino, dichiarazioni banali e scontate e via dolcificando l'opinione pubblica. Nel momento in cui una donna accetta di celebrare una giornata mondiale dedicata alla violenza sulle donne, crea la stessa categorizzazione di cui poi sarà vittima perchè è evidente che se si condanna la violenza soltanto verso un genere, si sta implicitamente affermando che l'altro genere non merita tutele, ottenendo come unico risultato di scatenare un focolaio di maschilismo reattivo antifemminista. Ed è attraverso la strumentalizzazione di tragedie che vedono vittima una donna e di cui è colpevole un uomo non in quanto maschio ma in quanto persona prepotente - e la prepotenza non è una caratteristica di genere ma di speci