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L'INDIVIDUO ANTAGONISTA

Uno dei modelli culturali e comportamentali di riferimento negli anni ’70 è, certamente, stato quello di individuo antagonista. Non è mai stato organicamente concettualizzato e mai si è elevato al rango di vero e proprio paradigma; nondimeno, larga è stata la sua applicazione. Contrariamente a quanto si potrebbe supporre, non è stato lo spazio della mobilitazione politica quello in cui il modello ha conosciuto la risonanza maggiore. Anzi, sono proprio stati soggetti e luoghi impolitici quelli che ne hanno fatto l’uso più massiccio. Ma procediamo con ordine. Dobbiamo necessariamente muovere dal dato, ormai, largamente acquisito secondo cui l’aggregazione antagonista prevede specifici riti di passaggio che giocano con la morte simbolica del Sé e dell’Altro. Il campo delineato dalla morte simbolica vale come orizzonte di sottrazione alla società regolare ed ai suoi codici. Ed è così che la morte simbolica si prolunga in rifiuto della società. Il rifiuto non è solo una sfida simbolica, ma anche il terreno concreto entro il quale le controculture giovanili tentano la conquista dell’autoconsapevolezza. Rifiuto e autoconsapevolezza della propria alterità vengono palesemente esibiti, con stili di vita particolari che producono comportamenti, mode e abbigliamenti caratteristici. La “condizione giovanile” viene vissuta come la condizione dell’alterità e dell’irriducibilità agli stili di vita regolari e regolarizzati. In questo modo, l’individuo antagonista produce una socialità elettiva. Ogni individuo antagonista è un eletto che condivide gli spazi di vita con altri eletti. Dall’antagonismo si perviene all’elezione del simile, dove il simile è l’antagonista. Il fascino e il limite profondo delle controculture giovanili vengono qui con nettezza spinti in primo piano. L’antagonismo che si espone fa del corpo, in tutte le sue significazioni, la sorgente del senso e della comunicazione del senso. La ribellione collettiva e individuale diventa un teatro, in cui il corpo (o meglio: i corpi) recitano a soggetto. Anche nel senso che i soggetti corpo tendono progressivamente a rimpiazzare i soggetti vivi. Persino i codici culturali e simbolici delle organizzazioni armate sono profondamente impregnati da questo humus, a cui attribuiscono un’aura funeraria. Che cosa è il “combattente comunista”, se non una sottospecie dell’individuo antagonista? Il “combattente” si spinge fino al punto estremo della esposizione simbolica e della teatralizzazione della clandestinità. La “comunità degli eletti” diventa una “comunità combattente” e, contro la società regolare, mobilita simulacri armati, anziché i soggetti corpo. Qui è il corpo della guerra simulata la sorgente del senso e della comunicazione di senso. Dobbiamo ora chiederci: dall’individuo antagonista poteva mai sgorgare una complessa e, insieme, efficace domanda di nuova socialità, non viziata dalle simmetrie dell’elezione del simile e del rifiuto del differente (da sé)? L’interrogativo richiede di riconsiderare i soggetti della mobilitazione collettiva degli anni ’70, sulla esile linea di confine dei loro chiaroscuri. Ma anche definitivamente oltre quel teatro della rappresentazione della morte entro cui finiscono fatalmente risucchiati.

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