Il tempo divora le famiglie, le famiglie sono insiemi fluttuanti, ormai, si compongono, si scompongono, si decompongono. Una volta la casa era il punto fermo della vita. Ora la vita è un punto mobile e la casa è diventata un bene mobile più che immobile, a volte anche un male mobile, dove si radunano le infelicità e le frustrazioni e prendono corpo; si cambia e si trasloca tante volte nella vita, oggi assai più di ieri. E la famiglia è unione fragile e provvisoria. La famiglia si scioglie e ognuno prende la sua strada. I ragazzi son grandi e i grandi tornano single. Chiude la casa dove un tempo viveva una famiglia. vanno via tutti i mobili e gli oggetti di casa, uno dopo l’altro, in una processione di arredi, ricordi e smontaggi. Perduta l’unità della casa, schizzano le sue porzioni. La fine ricorda l’inizio, la casa vuota da cui cominciò. Ora ti scorre davanti, come in un trailer a ritroso, il riassunto di una vita, Ricordi la gioia del trasloco da bambino, la casa da vuotare, il piacere di una casa da riempire, l’attesa eccitante del nuovo. Allora si lasciavano solo i muri alle spalle, non le persone. Si decostruisce una casa, il contrario di un atto di fondazione. Smembrare una casa, il contrario di rimembrare. Era rimasta la casa a raccontare la famiglia e a provarne la trascorsa esistenza. Anche le case hanno una loro personalità, ciascuna ha un suo odore, un carattere proprio. Hanno un dna inconfondibile, le case.
Questa è la piccola storia domestica di una famiglia disciolta nell’acido corrosivo del tempo. La famiglia si scioglie, come l’orzo solubile, ciascuno va incontro alla sua vita, al suo futuro, alla sua vecchiaia. I componenti naufraghi, sopravvissuti al disfarsi del loro mondo comune, prendono strade diverse.
La famiglia diventa mononucleare. Ma che vuol dire? Prima si era almeno quattro elementi, poi fu coppia, ora uno solo. È come dire: i quattro moschettieri erano tre ma ne ricordo solo due: d’Artagnan. Oppure c’è la famiglia tiraemolla per tutti i gusti: allargata, allungata, trasversale, incrociata, infrociata, a pallini. Due persone insieme sono famiglia, anche se ci stanno per un solo giorno o di un solo sesso. Un uomo e un cane sono una famiglia. Ma certo, se è già famiglia quella composta da un single. Un tempo si chiamavano scapoli, nubili, celibi, zitelle, vacantine, ora fanno famiglia da soli.
A Berlino, le famiglie mononucleari hanno superato quelle tradizionali e le unioni d’ogni tipo. Dall’unione all’unità, dalla razza al singolo. Il razzismo è oggi impossibile perché ognuno fa razza a sé. L’individualismo dei romantici degrada a epidemia di massa. Anche noi però non scherziamo, un terzo d’italiani vive in una famiglia a una piazza. Le metropoli, diceva preveggente Montale mezzo secolo fa, sono affollate da milioni di eremiti. La famiglia mononucleare evoca la mononucleosi, la malattia del bacio: il guaio è che baciamo troppo noi stessi e ci contagiamo il morbo. Insopportabile alle volte, soffocante in certi casi, ma com’era bella, calorosa e vociante, la famiglia che conoscemmo nella nostra preistoria personale.
I salutisti dell’Unione europea tornano alla carica con un’altra battaglia: quella contro il vino. A fare da apripista è stata l’Irlanda, che potrà dunque applicare sugli alcolici un’etichetta con scritto “il consumo di alcol provoca malattie del fegato” oppure “alcol e tumori mortali sono direttamente collegati”. O più direttamente "il vino provoca il cancro". Secondo i dati di Alcohol Action Ireland, il consumo di alcol puro pro capite tra chi ha più di 15 anni è stato di 10,07 litri nel 2020, che corrisponde a poco meno di 40 bottiglie di vodka, 113 bottiglie di vino o 436 pinte di birra e supera del 40% il livello di consumo indicato dalle linee guida dell’agenzia governativa Health Service Executive (HSE). Quindi l'Irlanda, attraverso il silenzio assenso della Commissione Europea, con questo provvedimento, crede sul serio di combattere l'abuso di alcol? Perché i dati sopra elencati chiariscono e permettono di affermare che siamo in presenza di un eccesso di uti
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